Consigli

Alimentazione

Una corretta alimentazione è alla base del nostro benessere fisico complessivo, compresa la salute di denti e gengive, coinvolti in primis nel processo di assunzione del cibo. La nostra bocca è un ricettacolo naturale di una molteplicità di batteri i quali trasformano in acido gli zuccheri presenti nei cibi: gli acidi sono in grado di aggredire lo smalto dentale e provocare la carie. Una dieta ricca di zuccheri e un’igiene orale non adeguata o insufficientemente scrupolosa sono fattori che favoriscono la formazione della placca batterica nella nostra bocca. La dieta dei bambini è spesso più ricca di zuccheri rispetto a quella degli adulti, tuttavia, il maggiore pericolo di malattia cariosa risiede nella frequenza con cui gli zuccheri vengono consumati, piuttosto che nella loro quantità complessiva. Bambini abituati a mangiare quantitativi ridotti di cibi zuccherosi, ma in momenti diversi della giornata e senza procedere al successivo spazzolamento dei denti, sono più esposti al rischio di carie di coloro che ne concentrano una maggiore assunzione però in poche volte, seguita da una buona igiene orale.
Una corretta educazione alimentare adottata sin dall’età infantile, consente di mantenere nell’adulto una maggiore salute complessiva, proteggendosi dal rischio di molte malattie tipiche dei paesi più ricchi e sviluppati, come l’obesità e il diabete.

In generale sarebbe meglio evitare i frequenti spuntini e l'eccessivo consumo di cibi dolci (gli zuccheri semplici e quelli più appiccicosi sono i più cariogeni). La frequenza elevata di assunzione di zuccheri mantiene un pH della bocca acido, e la demineralizzazione dei denti è continua. Tra gli alimenti a cui prestare attenzione ci sono i succhi e polpe di frutta soprattutto se addizionati di saccarosio; tutte le bevande dolci o dolcificate; miele, marmellate, confetture, gelatine, creme e dolciumi.

Gli zuccheri possono essere antagonizzati da altri nutrienti se inclusi nello stesso pasto. Nello specifico le proteine, i lipidi e i minerali (calcio, fosforo, fluoro, ferro). I formaggi, principalmente quelli stagionati o a pasta non appiccicosa, hanno elevate proprietà anti-carie. Alimenti che hanno un'azione contro i batteri sono le verdure e gli alimenti ricchi di fibre, lo xilitolo (contenuto in alcuni dolcificanti), le proantocianidine presenti nel vino rosso, mirtilli, cannella.

Alito cattivo (alitosi)

Sì. Una delle più comuni conseguenze della malattia parodontale può essere l’alito cattivo dovuto alla proliferazione di batteri, invisibile a occhio nudo, sulle superfici dei denti e all’interno delle tasche parodontali.

Con il termine “alitosi”, o volgarmente alito cattivo, si indica l’odore sgradevole che si emette durante la respirazione; è un disturbo che può colpire soggetti di qualsiasi sesso ed età, anche se il problema si presenta con maggior frequenza all’aumentare dell’età. L’alitosi è costituita dall’aria che si espira ed è formato dal vapore acqueo, alcuni gas e scorie batteriche. Si stima che il 25% della popolazione soffra di questo problema ed il 6% presenti alito cattivo in modo permanente. I tipi di alitosi sono due:

  • l’alitosi transitoria, che è il 90% dei casi. E’ fisiologica e si coglie solo in alcuni momenti della giornata. L’igiene orale non accurata ne è la causa principale, quindi si risolve bene con l’uso sia dello spazzolino che del filo o dello scovolino, e con accurati e periodici richiami di igiene professionale dal dentista.
  • L’alitosi patologica persistente che riguarda il 10% dei casi non si riesce invece a combattere solo con l’igiene orale. Questa deriva, oltre che da malattie sistemiche, anche da carie, protesi e ricostruzioni dentali mal eseguite o danneggiate, gengiviti e piorrea; ingestione di alimenti e bevande alitogeni (aglio, cipolla, particolari spezie aromatiche, peperoni, carni affumicate, alcuni pesci, alcuni formaggi, caffè, birra, vino e alcolici); tabagismo (sigarette, pipa, sigari, tabacco da fiuto e da masticare); farmaci antistaminici, antidepressivi, diuretici e ansiolitici; problemi gastrici, sinusiti e tonsilliti; periodi di digiuno, i quali comportano una minore produzione di saliva (meccanismo primario per la detersione orale).

Allattamento

Per l'allattamento l'anestesia è innocua: la molecola dell'anestetico, così come ogni altra molecola, è in grado di passare dall'area di iniezione al sangue, e dal sangue agli altri liquidi corporei, ma in ognuno di questi passaggi la sua concentrazione si riduce in misura così importante (tramite filtraggio e metabolismo), che la quantità di anestetico presente nel latte materno è così piccola da essere trascurabile.
L'unico effetto che può avere l'anestetico sul latte materno è il cambio di sapore: chiunque abbia assaggiato una goccia di anestesia, magari finita in bocca dopo una puntura fatta dal dentista, sa benissimo che ha un sapore cattivissimo, quindi per le prime ore dopo l'anestesia il sapore del latte può peggiorare; per questo il bambino potrebbe rifiutarsi di fare la poppata al seno; la precauzione più semplice è prelevare col tiralatte, prima dell'intervento, una quantità di latte sufficiente al piccolo per la mezza giornata successiva, e somministrare quello nelle ore successive all'anestesia, scartando il latte prodotto nel frattempo. Estrazioni e devitalizzazioni quindi non sono un problema in questa fase. Ovviamente tutto è in funzione della molecola utilizzata per l'anestesia, della dose di anestetico e della quantità di latte che il bambino prende dal seno (quindi dall'età del bambino stesso).

Lo staff del nostro studio è comunque sempre attento e disponibile a dare tutte le istruzioni e le informazioni al riguardo alle neo-mamme in modo che possano gestire il rapporto con il loro bambino nel modo più sereno e naturale.

Fare radiografie durante l’allattamento comporta qualche rischio?

No, non comporta alcun rischio.

Ascesso

L'ascesso è un'infezione acuta, con produzione di pus accompagnata da infiammazione più o meno intensa del parodonto e dell'osso alveolare. La guancia è spesso gonfia e dolente. Può essere accompagnato da febbre e richiede l'intervento di un odontoiatra per le opportune misure.
Spesso si sente un sapore sgradevole. Non pensate di risolvere un ascesso prendendo degli antidolorifici come se fosse un normale mal di denti. L’ascesso può degenerare in forme gravi con ripercussioni generali che possono interessare seriamente il paziente.
La terapia antibiotica si limita ad arginare la fase acuta, ma non risolve il problema alla base dell'ascesso, lasciando che questo quindi torni a maturare. Solitamente gli ascessi possono essere odontogeni (dovuti ad un'infezione all'interno del dente risolvibile mediante devitalizzazione) oppure non odontogeni (dovuti alla gengiva o alterazioni dei tessuti molli).

Bambini dal dentista

I denti decidui o “da latte” sono la prima dentatura dell’individuo. I denti da latte sono fondamentali per un corretto sviluppo dei successivi denti permanenti che erompono sotto la guida proprio dei decidui. I primi elementi da latte erompono intorno ai 6 mesi (incisivi centrali inferiori) e gli ultimi si perdono intorno ai 12 anni (canini). In questa finestra temporale è importante curare i denti da latte per permettere alla dentatura permanente di erompere in un ambiente sano. Per preservarli sani occorre evitare che il bambino assuma frequentemente cibi molto zuccherati come dolci e caramelle, evitando anche di addolcire con miele il succhiotto. Patologie a carico dei denti da latte possono creare danni o alterazioni ai denti definitivi sottostanti.

Spesso la salute dei denti da latte viene trascurata perché non se ne conosce l’importante ruolo che svolgono nella salute del bambino. In primis, se cariati, fanno male tanto quanto i denti permanenti, in secondo luogo mantengono gli spazi per la crescita futura del dente permanente corrispondente e aiutano un corretto sviluppo del linguaggio.
C’è da aggiungere inoltre che denti da latte cariati in bocca sono focolai di infezione da streptococchi (il batterio responsabile della carie) e possono determinare un’aumento degli anticorpi in circolo (titolo antistreptolisinico aumentato). Va poi considerata l’anatomia differente del dente da latte (deciduo) che ha uno smalto molto sottile, per questo motivo la carie progredisce in modo molto più rapido fino a intaccare il sottostante dente permanente.

I dentini da latte vengono curati come i denti definitivi, cambia l’approccio con il piccolo paziente. In genere le carie vengono curate in anestesia locale, e se il piccolo paziente è meno collaborante si può unire a questa l’uso della sedazione cosciente (protossido d’azoto). Per un consulto o consiglio, per la prima visita del tuo bambino, rivolgiti ad un medico del nostro staff.

 

E' uno dei presidi classici per mantenere sani i primi molari permanenti che erompono a 6 anni, oltre agli altri denti permanenti posteriori che verranno dopo, verso i 10-12 anni. Serve per rendere il dente più facilmente spazzolabile e si ottiene applicando una speciale "vernice" protettiva sul dente stesso: essa è una pratica completamente indolore e atraumatica, e non richiede l'uso dell'anestesia o del "trapano", quindi rappresenta dal punto di vista psicologico anche un ottimo modo per cominciare il proprio rapporto dal dentista da parte del piccolo paziente. Più il bambino tende a cariare i denti, più è importante questo intervento.

Il nostro consiglio, condiviso anche dalle linee guida del Ministero della Salute, è di portare il bambino il prima possibile, già all’età di un anno o comunque il prima possibile. Questa prima visita è una semplice ispezione ed è un momento utile per far incontrare e confrontare i genitori con il dentista: la mamma può così imparare come pulire la bocca del neonato anche in assenza di denti, eventualmente come pulire i primi dentini, come approcciarsi con il ciuccio e con l’eruzione dei denti. Le verranno spiegati i sintomi più comuni come dolore, febbre, aumento della salivazione, disturbi del sonno, e tendenza alla morsicatura dei bambini alla spunta dei dentini da latte.
Inoltre il vantaggio dell’approccio precoce al dentista risiede anche nella confidenza che il bimbo può prendere con l’ambiente e gli operatori sanitari, familiarizzando, in modo da vivere la prima eventuale esperienza di cura come un evento normale e non stressogeno. In questo modo si eviterà che il bambino sviluppi il “terrore del dentista” e diventi un futuro adulto fobico: sarà proprio questa infatti la conquista più importante nella prima fase della vita odontoiatrica del bambino. E' bene ricordare che per un bambino è sempre traumatico fare la conoscenza del dentista quando c’è un'emergenza in corso tipo mal di denti o traumi.

Premesso che non c’è una data specifica e precisa, tra i 6 e i 10 mesi erompono i primi dentini e in particolare gli incisivi da latte inferiori. Successivamente, tra gli 8 e i 12 mesi è il momento degli incisivi centrali da latte superiori poi seguiti dagli incisivi laterali e così via. Generalmente la dentizione decidua (i denti da latte) è completa tra i due e i tre anni di vita e si compone di 20 dentini.

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I denti e più in generale la bocca devono essere puliti e detersi fin da subito! Il che vuol dire che non appena spunta il primo dentino occorre incominciare a prendersene cura.
Fino a quando le capacità manuali del bambino non gli consentono di spazzolarsi effettivamente i denti da solo è necessario che i genitori puliscano i denti e le gengive almeno due volte al giorno.
Per “lavare i dentini” del bambino si può usare una garza bagnata arrotolata su un dito e passata sui dentini e massaggiare tutte le mucose della bocca. Per far familiarizzare il bambino con lo spazzolino è opportuno farcelo giocare (sotto la supervisione dei genitori) e fargli partecipare da spettatore alle quotidiane manovre di igiene orale dei genitori. I bambini apprendono osservando e imitando i genitori!

E’ sufficiente una dose di dentifricio minima, da spazzolare per almeno due o tre minuti su tutti i dentini. Lo spazzolino è quello che pulisce i denti dai residui di cibo e dalla placca, il dentifricio serve a veicolare sui dentini una quantità efficace di fluoruri che rinforzano e proteggono lo smalto dalla carie.

Posto che la paura del dentista non è una condizione innata dei bambini, occorre che i genitori e l’ambiente familiare “lavorino” per non generare o trasmettere ansie in tal senso al bambino. La visita dal dentista dovrebbe avvenire in condizioni di salute per consentire la buona riuscita di un corretto approccio psicologico non condizionato dalla necessità di effettuare terapie d’urgenza.

Se un bambino cade e batte i denti da latte le sequele possono essere molto variabili e talvolta possono coinvolgere i denti permanenti che in quel momento si stanno ancora formando.
In caso di traumi che coinvolgono i denti, è sempre opportuno far visitare il prima possibile il bambino da uno specialista che valuterà l’accaduto e potrà consigliare i genitori su come deve essere controllata nel tempo l’eventuale comparsa di complicazioni.
Nel caso di denti permanenti (bambini tra i 6 e i 12 anni), se durante il trauma viene perso un pezzo o un intero dente, occorre recuperare il frammento o il dente, evitare di maneggiarlo o tentare di ripulirlo e portarlo dal dentista il più presto possibile conservato all’interno di soluzione fisiologica, latte o semplice acqua. Un dente permanente reimpiantato entro un’ora dal trauma ha le migliori possibilità di successo e prognosi.

Carie

La carie è una malattia infettiva. I fattori che la caratterizzano sono essenzialmente 4: batteri, zuccheri, fattori predisponenti, tempo. I batteri vivono nella bocca e convivono con l'individuo, e si tratta di batteri normali commensali del cavo orale che non possono essere eliminati, in quanto portatori di numerosi effetti positivi (ad esempio la competitività con specie altrimenti patogene, quale il batterio della difterite).
I batteri, nutrendosi dei residui alimentari (principalmente zuccheri) producono metaboliti a pH acido che nel tempo determinano dei varchi nello smalto dentale (gli acidi in pratica “disciolgono” la componente minerale del dente).
Questo processo può essere favorito da alcune condizioni: alterazioni della saliva, una predisposizione genetica, l'uso di farmaci o patologie sistemiche, un'arcata dentaria disarmonica (denti storti). Decisive sono anche le abitudini alimentari, il tempo e i controlli periodici dallo specialista (almeno una volta all'anno). Attenzione particolare anche per le mamme durante lo svezzamento: la mamma è la principale fonte di passaggio di placca batterica nel bambino; la mamma deve avere una bocca sana o evitare di assaggiare i cibi prima di porgerli al figlio con le stesse posate.

L'intervento che ci permette di “riparare” un dente cariato si chiama “otturazione o “restauro” Il restauro di un dente prevede alcuni passaggi operativi

  • isolamento con diga di gomma
  • rimozione del vecchio restauro, se presente
  • rimozione della carie e disinfezione della cavità
  • ripristino della struttura persa con materiali compositi

Corone (o capsula) e ponti

La corona protesica - chiamata spesso impropriamente "capsula" - è un "guscio" che permette la ricostruzione completa della porzione esterna, quella visibile, del dente, riproducendone forma e colore ricoprendo completamente a 360° il dente. È ancorata (con cemento o viti) alla porzione residua del dente o a un eventuale impianto.

Più corone protesiche possono essere unite insieme e - ancorate ai denti residui - permettono la sostituzione di denti mancanti. In questo caso si parla di ”Ponte”.
La stessa cosa può essere fatta al di sopra di più impianti dentali.

Sono molteplici le situazioni in cui è necessario eseguire una corona protesica. Si esegue una corona protesica quando il dente ha subito una forte perdita di sostanza - dovuta a carie, traumi, usura – ed è necessario ripristinare l’anatomia del dente.
Si esegue inoltre per migliorare la resistenza di denti che hanno subito trattamenti (es. devitalizzazione) che ne rendono la struttura dentale particolarmente fragile e quindi soggetti a frattura.
Si esegue, talvolta anche su denti sani, ove non si possano realizzare impianti ossei, per la realizzazione di ponti per la sostituzione di denti mancanti. Può essere utilizzata, nel caso non siano indicate tecniche più conservative, al solo scopo di migliorare l’estetica del dente.

Esistono differenti materiali per la realizzazione dei ponti e delle corone. Le loro caratteristiche estetiche e di resistenza sono molto variabili. La scelta dei materiali andrà quindi eseguita con attenzione rispetto agli obiettivi della terapia. Per esempio quando il rischio di frattura è basso, potranno essere impiegati con tranquillità materiali più belli, ma più fragili.
Leghe metalliche (di metalli nobili o non nobili) e differenti materiali ceramici possono essere utilizzati singolarmente o anche combinati tra loro per la realizzazione “a strati” della protesi.
Al giorno d'oggi esistono speciali ceramiche rinforzate che permettono di coniugare l'estetica con un'ottima resistenza ed affidabilità evitando quindi l'utilizzo del metallo.

Le corone protesiche (così come i ponti protesici) sono considerate un atto terapeutico “definitivo”, ma nel tempo avviene una sorta di “invecchiamento” che può limitarne la durata.
La durata di una protesi correttamente eseguita è quasi sempre legata alla sopravvivenza dei pilastri che la sostengono, siano essi denti naturali o impianti, alla resistenza strutturale dei materiali utilizzati e al mantenimento igienico domiciliare associato a periodiche visite di controllo. I denti possono nel corso del tempo cariarsi, rompersi o essere compromessi dalla malattia parodontale.
I cedimenti strutturali sono rari, a patto che vengano utilizzati correttamente i materiali indicati per quella particolare situazione clinica. Secondo la letteratura scientifica, le probabilità di sopravvivenza protesica a 10 anni si attestano fra l’80 e il 90%. Esistono studi su gruppi di pazienti molto controllati che riportano percentuali di sopravvivenza superiori al 90%.
Lo scarso mantenimento igienico predispone a carie e malattie gengivali, ciò può pregiudicare la durata del trattamento.
Il digrignamento dentale inoltre aumenta il rischio di usura e frattura dei materiali utilizzati e dei denti o impianti di supporto.

La cosa più importante, oltre all’uso del buon senso nell’utilizzo quotidiano, è il mantenimento di un alto livello di igiene orale domiciliare e la frequenza delle visite di controllo.
La durata di un ponte è strettamente legata alla sopravvivenza dei denti/impianti che lo sostengono e quindi al successo nella quotidiana battaglia contro la placca batterica che si forma in continuazione e che è in grado di compromettere sia i denti direttamente (carie) che i tessuti duri e molli (osso e gengiva) che sostengono e ricoprono sia i denti che gli impianti.
La corretta pulizia delle zone interessate da protesi prevede l’utilizzo non solo dello spazzolino e del filo interdentale, ma anche di fili speciali che siano in grado di pulire le parti protesiche che appoggiano direttamente sulla gengiva e di scovolini necessari per pulire gli spazi interdentali più ampi.
La frequenza delle visite di controllo deve essere individualizzata in relazione alla situazione clinica. Durante le visite di controllo deve essere rimosso il tartaro, ricontrollata l’efficacia delle manovre igieniche condotte a domicilio, controllata l’integrità delle protesi e dei bordi protesici. E’ necessario controllare periodicamente l’occlusione ed eseguire delle radiografie per valutare l’eventuale insorgenza di problemi che, se intercettati nelle fasi iniziali, sono di più facile soluzione.

Prima di tutto è necessario sapere se si tratta di un ponte su denti o su impianti. In quest’ultimo caso la soluzione è semplice: si è svitato qualcosa che è necessario ri-avvitare.
Se il ponte è su denti e la mobilità è causata dalla decementazione di uno dei pilastri, la soluzione può essere più complessa: il ponte deve essere rimosso altrimenti il dente interessato dalla decementazione si carierà molto rapidamente.A volte è possibile togliere il ponte senza danneggiarlo, ma spesso, per non compromettere gli altri denti che lo sostengono, soprattutto se questi sono devitalizzati, è necessario tagliarlo, e quindi successivamente sostituirlo.

Dipende molto dalla localizzazione della frattura, sia nell’ambito della corona che nell’ambito orale in generale. La ceramica può essere riparata in laboratorio, soluzione ideale, se la si può smontare senza danneggiarne la struttura e soprattutto senza danneggiare il dente che la sostiene. Purtroppo questa è l’evenienza meno frequente.
La ceramica può anche essere riparata in bocca, ma in questo caso il materiale usato per la riparazione sarà una resina composita, ovvero un materiale diverso dalla ceramica, che non sempre è possibile attaccare con successo e non sempre è in grado di garantire un risultato estetico soddisfacente.
Ci sono anche delle situazioni in cui, se non c’è un’esigenza estetica e il frammento distaccato non interessa la zona funzionale o le zone di contatto con i denti adiacenti, non è necessario fare altro che lucidare accuratamente la superficie fratturata.
In altri casi l’unica soluzione praticabile è quella di sostituire la protesi. La frattura può essere causata, oltre che da un evento traumatico, da un difetto di cottura della ceramica, da un difetto nella progettazione sia clinica che odontotecnica o da un non accurato controllo clinico durante le fasi di prova.

Denti malposizionati

Sì, le malposizioni dentarie possono portare non solo ad una inefficiente funzione masticatoria ma anche alla mobilità dei denti spesso causata da precontatti o da un’inadeguata igiene che a lungo andare si ripercuote sui tessuti di supporto del dente.

Il rischio per i denti di “ammalarsi” di carie o di malattia parodontale è fortemente legato all’accumulo di placca batterica sulle superfici dei denti.
Se la malposizione dentaria è tale da complicare o impedire un'igiene orale adeguata potrebbe esistere un rischio maggiore per il dente di ammalarsi.

Denti sensibili

La sensibilità dei denti nei confronti dei cibi caldi o freddi oppure delle sostanze dolci o acide prende il nome di ipersensibilità dentinale. Questo disturbo può avere molteplici cause, le più comuni sono la carie dentaria e la malattia parodontale. L'ipersensibilità dentinale richiede una valutazione del dentista perché spesso tende a peggiorare con il passare del tempo se non se ne comprende la causa e può diventare anche un disturbo davvero invalidante durante le normali funzioni della bocca quali la masticazione e la respirazione.

In molti casi può esserci una certa ipersensibilità dentinale. L'ipersensibilità dentinale è un sintomo che si può manifestare quando una zona di dentina esposta è eccessivamente sensibile. Questo può avvenire dopo una levigatura radicolare per stimolo meccanico. Dopo il trattamento parodontale, spesso si può provocare un dolore acuto ma di carattere transitorio che si risolve nel giro di qualche giorno o di qualche settimana con una guarigione spontanea.

Devitalizzazione (o trattamento endodontico o cura canalare)

No, non è vero. Anzi, è vero il contrario. La letteratura scientifica dimostra che i denti devitalizzati, a causa della perdita di sostanza causata dalla devitalizzazione e dell’alterazione della composizione della struttura dentaria, sono più fragili.
In alcune situazioni cliniche è però assolutamente necessario devitalizzare i denti, ed in altre è comunque consigliabile farlo se si prevede che il dente in questione possa sviluppare una sintomatologia dolorosa o se sia in atto la formazione di un'infezione.

Diabete

I soggetti diabetici sono in generale maggiormente esposi al rischio di infezioni, in particolare quelli con un controllo glicemico non accurato. Per questo motivo questi pazienti soffrono di gengivite e parodontite più frequentemente e con aspetti clinici di maggiore gravità rispetto ai soggetti non diabetici. Tale associazione è così frequente che alcuni ricercatori hanno definito la parodontite una delle complicanze del diabete.
L’associazione diabete-parodontite è di tipo bidirezionale e il controllo dei biofilm orali e dei fattori infiammatori ad essi correlati possono contribuire a migliorare il livello di controllo glicemico.
Nella valutazione dello stato parodontale e nella formulazione di un piano di trattamento nei pazienti diabetici e importante considerare fattori quali il grado di controllo metabolico, la durata della malattia, la presenza di complicanze a lungo termine del diabete, la presenza di fattori di rischio concomitanti e il livello di benessere generale.

Digrignamento e serramento dei denti (bruxismo)

Farmaci

Sì. Esistono alcuni farmaci che possono essere causa di alterazioni a livello dei tessuti gengivali e dei denti.
In caso di alterazioni è consigliato recarsi dal proprio dentista per una visita ed informare lo specialista in caso di assunzione di farmaci per altre patologie sistemiche.

No. La malattia parodontale viene curata dal dentista attraverso un piano di trattamento che dipende dalla forma e dalla gravità della malattia parodontale stessa. Gli antibiotici possono essere utilizzati nella terapia di particolari forme di malattia parodontale come strumento terapeutico aggiuntivo.

Fistola

La fistola è l'evoluzione di un ascesso. Si presenta come una sorta di “brufolo” a livello della gengiva o della cute da cui fuoriesce pus ed essudato. Il pus ed i prodotti dei processi di degradazione tissutale tendono infatti a cercare una via di drenaggio dall’osso all'esterno generando un tragitto di comunicazione che prende appunto il nome di fistola.

Fluoro

Il fluoro è l'agente più efficace nella prevenzione della carie. Esso si lega alla struttura di cui sono costituiti i denti portando ad una struttura molecolare molto più resistente all'attacco degli acidi dei batteri (si passa dall'idrossiapatite alla fluorapatite). Inoltre il fluoro favorisce la remineralizzazione dello smalto demineralizzato e svolge un buon effetto antimicrobico nei confronti della placca.

La decisione del tipo di somministrazione va valutata dallo specialista, sulla base dell'analisi del caso specifico, ricordando sempre la necessità di mantenere comunque buoni livelli di igiene orale. La somministrazione di fluoro per via orale (pastiglie o gocce) è raccomandata dai 6 mesi ai 3 anni e può costituire l'unica forma di somminiistrazione. La somministrazione di fluoro per via topica attraverso gel dentifrici a basso contenuto di fluoro è raccomondata dai 3 ai 6 anni, due volte al giorno. Dopo i 6 anni, l'uso di un dentifricio al alto contenuto di fluoroi (almeno 1000 parti per milione) due volte al giorno è di fondamentale importanza nella prevenzione della carie e può costituire l'unica forma di somministrazione.

Fra gli alimenti più ricchi di fluoro compaiono il caffè, il tè, la carne di pollo, maiale, vitello e agnello, pesce e frutti di mare, verdura, frutta e cereali.

Fratture dentali

Il trauma dentale rappresenta una vera emergenza odontoiatrica in quanto l’azione tempestiva migliora nettamente la prognosi. In caso di trauma telefonare immediatamente all’odontoiatra.
E’ tuttavia importante che il paziente, o chi se ne prende cura, sappia come muoversi nel momento stesso in cui il trauma avviene per migliorarne la prognosi.
Nel caso in cui il trauma comporti perdita completa dell’elemento o frattura del dente con perdita di uno o più frammenti è importante cercare di recuperarli e consegnarli il prima possibile all’odontoiatra il quale valuterà la possibilità di reincollare la parte persa o reimpiantare l’elemento avulso (perso).
E’ abbastanza frequente che dopo un trauma il dente interessato possa risultare intruso (quando sembra essere “entrato nella gengiva” quindi apparirà più corto rispetto ai denti contigui) o estruso (sembra più lungo rispetto agli altri), oppure potrebbe semplicemente apparire disallineato rispetto agli altri (lussazione dell’elemento dentario).
In tutti questi casi è importante la tempestività: aspettare ad esempio la mattina seguente la visita dell’odontoiatra potrebbe essere troppo tardi perché il dente potrebbe non essere più così mobile!

La corretta conservazione del frammento e dell’intero elemento dentale è fondamentale per impedirne la disidratazione che porterebbe ad un’infausta prognosi. La conservazione migliore avviene in soluzione fisiologica, tuttavia se impossibilitati anche latte, saliva o al limite anche acqua possono andare bene.
Altro aspetto importante è disinfettare accuratamente la porzione dentale traumatizzata e gli eventuali tessuti lacerati con un batuffolo di cotone o un cotton-fiock imbibito di clorexidina (va bene colluttorio a base di clorexidina 0,20% o gel a base di clorexidina).

La frattura dentale è un evento causato da traumi siano essi violenti, oppure di modesta entità, ma ripetuti nel tempo.
A seconda dell’estensione e dell’andamento della frattura, e sia essa parziale o completa, potranno essere attuate scelte terapeutiche diverse. Se la frattura interessa le radici sarà forse difficile evitare l’estrazione del dente. Se invece le radici sono ancora integre, allora si potrà sperare di evitare l’estrazione con opportune metodiche di tipo ricostruttivo ed eventualmente endodontico (devitalizzazione).
Oggi è possibile effettuare un’attenta stima dell’andamento dell’incrinatura e della resistenza residua e conseguente restauro del dente. Ancora una volta ribadiamo l’importanza di una diagnosi quanto più precisa e tempestiva per non perdere l’opportunità di conservare il dente!

Fumo

Sì. Il fumo è uno dei principali fattori che influenzano la progressione della malattia parodontale. Non solo il fumo aumenta il rischio che si sviluppi la malattia ma anche la risposta alla terapia parodontale risulta alterata nei fumatori. Esso infatti determina una riduzione della vascolarizzazione e di conseguenza un’alterata guarigione dei tessuti, oltre a mascherare i sintomi e i segni della malattia parodontale. Il fumo inoltre ha degli effetti negativi sulle cellule del sistema immunitario.
Il fumo aumenta il digrignamento notturno dei denti, favorendo l’usura delle superfici dentali, ed è un fattore di rischio anche per le apnee del sonno, patologia che determina numerosi micro-risvegli durante la notte, diminuendo drasticamente la qualità del riposo, con tutte le relative conseguenze negative sulla salute.
Anche per ciò che riguarda le malattie a carico dei denti quali la carie, il fumo contribuisce in maniera negativa all'aumentarne l'insorgenza e la velocità di progressione, a causa dell'innalzamento dell'acidità nel cavo orale e dell'aumentata viscosità della saliva. Inoltre i figli dei fumatori hanno anch'essi una maggiore probabilità di sviluppare carie in età precoce e di digrignare i denti di notte.
Il tabagismo durante la gravidanza si è dimostrato portare ad un aumentato rischio di bambini con gravi difetti congeniti, come la labio-palatoschisi.
Infine nei fumatori si assiste ad un aumentato rischio di insorgenza di patologie dei tessuti molli quali leucoplachie, candidosi, tumori maligni del cavo orale. L’entità di tutti questi effetti nocivi risulta correlata alla durata ed alla quantità di tabacco consumato.

Gengive

Le gengive servono a proteggere le radici dei denti e l'osso attorno ad esse.

È importante avere le gengive sane perché se le gengive sono sane non c’è rischio di perdere i denti a causa della malattia parodontale.
L’assenza di infiammazione gengivale è un segno di salute parodontale.

Il sanguinamento delle gengive spontaneo o indotto dall'uso dello spazzolino o dal filo interdentale è la maggior parte delle volte legato alla diagnosi di gengivite o di parodontite. L’accumulo di batteri crea infiammazione che come primo segno si manifesta con il sanguinamento gengivale.

Le cause possono essere tante, solitamente traumi, abrasioni, erosioni, masticazione non corretta, spostamenti dentali, malposizioni. Caratteristiche anatomiche come frenuli, gengive sottili, ecc., possono essere fattori che predispongono alla retrazione delle gengive (recessioni gengivali).

Gengivite

La gengivite è un'infiammazione reversibile della gengiva superficiale dovuta all’accumulo di placca batterica sulle superfici dei denti. I segni clinici della gengivite sono: gonfiore e arrossamento delle gengive, sanguinamento, alterazioni della forma della gengiva.
Essa è determinata sia dalla qualità sia dalla quantità dei batteri. Anche una gengiva all'apparenza sana può essere infiammata a livello istologico e se non curata successivamente andare incontro alla parodontite (con conseguente perdita di osso attorno ai denti) senza che il paziente se ne accorga. Essendo infatti spesso la gengivite indolore, può succedere che ci si renda conto del problema solo quando gengive e osso sono seriamente compromessi.
La gengivite è reversibile. Per cui l’unico modo che abbiamo per prevenirla è una buona igiene orale sia a casa che dal dentista.

La terapia della gengivite consiste nella rimozione dell’agente causale, ossia la placca ed il tartaro, associata ad adeguate sedute di istruzione di igiene orale del paziente. Inoltre il controllo chimico con colluttori antibatterici utilizzati per brevi periodi e la rimozione di eventuali fattori predisponenti locali quali otturazioni non precise, protesi debordanti, fratture radicolari e fattori anatomici possono contribuire alla risoluzione dell’infiammazione. L’esito della terapia parodontale dipende in larga misura dalla capacità dell’operatore di rimuovere la placca sottogengivale e dalla motivazione e capacità del paziente di praticare un’adeguata igiene domiciliare.

Granuloma

E' il risultato di una periodontite apicale cronica dovuta ad un’infezione presente all’interno dei canali del dente. Il granuloma rappresenta un “tappo biologico” che il nostro organismo mette in atto per arginare un'infezione altrimenti non eliminabile dal nostro sistema immunitario: in altre parole è una situazione di stallo tra un focolaio infettivo da una parte e le cellule immunitarie dall'altra. Proprio per questo motivo rappresenta una situazione che, seppur cronica, può evolvere verso una forma acuta (quindi dolorosa) quando questa sorta di stallo viene meno, il che può succedere per diverse cause (abbattimento del sistema immunitario, cambio di stagione, stress, trauma in masticazione, ecc...).
Se non trattato può degenerare in una cisti apicale e condurre alla perdita dell’elemento. E’ una zona indice di infezione locale che deve essere rimossa mediante devitalizzazione per la salute del paziente.

Gravidanza

Durante la gravidanza vi è un maggiore rischio di infiammazione gengivale a causa degli squilibri ormonali, pertanto i controlli di igiene orale dovranno essere ancora più frequenti.
Non si riscontrano invece aumentati rischi per quanto riguarda la carie, se non quelli legati ad un peggioramento delle manovre di igiene orale dovuti per esempio ad eventuali fastidi gengivali o nausee.

La donna in gravidanza, affetta da parodontite, ha un maggiore rischio di parto prematuro con nascituro sottopeso.

Igiene orale a casa

Il filo interdentale è utile a rimuovere la placca batterica che si accumula tra un dente e l’altro. Va utilizzato almeno una volta al giorno.

Per una corretta igiene della propria bocca sono sufficienti spazzolino, filo interdentale e scovolino ma in alcune situazioni, dove la pulizia meccanica non è sufficiente può essere di aiuto l’uso dei collutori.
Esistono tuttavia diverse tipologie di collutori, da quelli comunemente presenti anche nei supermercati, che possono essere utili come strumenti di prevenzione della carie dentaria, a quelli ad uso medicale con specifica azione antibatterica, utilizzati per brevi periodi legati alla impossibilità di praticare le normali tecniche di spazzolamento dei denti. Questi ultimi possono avere effetti collaterali dannosi se usati continuativamente per lunghi periodi.

Gli ausili per l’igiene orale sono in realtà molti. Va tenuto presente che l’orientamento nella prevenzione è di personalizzare ogni trattamento.
L’ausilio principe è lo spazzolino manuale o elettrico (con l'aggiunta dello spazzolino monociuffo per i punti altrimenti non raggiungibili e per gli apparecchi ortodontici), unitamente al filo interdentale. Ogni tipo di filo (cerato, super-floss per i manufatti protesici, il filo con la forcella ecc.) sono da indicare specificatamente a secondo del tipo di gengiva, posizionamento dei denti, spazi interdentali e della manualità del paziente. Sono poi di supporto altri strumenti: lo scovolino, il perio-aid per le recessioni gengivali, stick a base triangolare per intervenire dove le papille interdentali sono retratte, il pulisci lingua, i dentifrici con azione fluorizzante e desensibilizzanti oltre ai collutori, quando la pulizia meccanica è inadeguata, se non impossibile.

Almeno una volta al giorno, preferibilmente dopo i pasti principali della giornata, mediante l’uso dello spazzolino e del filo interdentale. Sarebbe preferibile lavare i denti mezz'ora dopo ogni pasto (nei primi minuti subito dopo i pasti infatti l'aumentata acidità della bocca combinata allo spazzolamento può col tempo causare erosioni chimiche).

Vanno bene entrambi, a patto che la metodica venga eseguita correttamente.

No. Anzi setole morbide riescono ad adattarsi meglio alle superfici del dente e raggiungerne ogni punto determinando quindi una migliore detersione rispetto a setole dure che invece tendono più ad imputarsi e toccare la superficie dentale in pochi punti.

Il dentifricio è una pasta detergente per i denti. Il dentifricio deve possedere un potere abrasivo basso, specie in presenza di recessioni gengivali. Tale valore viene espresso da una sigla e da un numero: RDA 50 indica un’alta abrasività, 25 ne indica una bassa.
I dentifrici a base di fluoro, servono a contrastare la carie. Il fluoro, infatti, ha la capacità di fissarsi allo smalto dei denti rendendolo più duro e più resistente alla carie.
Non sono consigliati dentifrici “sbiancanti” o l'utilizzo di bicarbonati al fine di ottenere un colore “più bianco” del dente: queste sostanze agiscono come agenti abrasivi sulle superfici dentali andando a rovinare sia denti che gengive.

Igiene orale e professionale

La frequenza dei richiami igienici professionali dipende da molti fattori tra i quali uno dei più importanti è la capacità del paziente di collaborare con l’igiene domiciliare. Essa pertanto dovrà essere decisa individualmente dall’odontoiatra.

L’igiene orale per molti anni è stata considerata la “pulizia dei denti”. Questa terminologia, ormai obsoleta, ha lasciato il posto alla vera funzione dell’igiene orale: una terapia non chirurgica per prevenire le patologie del cavo orale.
L’igiene orale è professionale, quando si effettua presso uno studio dentistico dall’odontoiatra o dall’igienista dentale la quale svolge specificatamente questa prestazione professionale; l’igiene orale è domiciliare quando il paziente, su indicazione del professionista, esegue a casa le manovre consigliate atte a rimuovere la placca batterica dalle superfici dei denti.
L’igiene professionale consta di una serie di manovre che vanno dall’osservazione obiettiva del cavo orale, dal sondaggio gengivale, allo scaling mediante ultrasuoni, alla levigatura radicolare, all’insegnamento del mantenimento dell’igiene domiciliare, e da tutto ciò che personalizza l’igiene del paziente stesso per far sì che si prevengano malattie ed infezioni del cavo orale.

Impianti

Ad imitazione del dente naturale, l’impianto dentale costituisce una radice artificiale, per lo più in titanio, materiale ampiamente testato e totalmente biocompatibile, che viene chirurgicamente inserita nelle zone prive di denti delle ossa mascellari. Tale radice e’ stata progettata per supportare una corona protesica, con il suo ruolo relativo all’attività masticatoria ed alla fonetica oltre che estetico.
Gli studi effettuati sulla sopravvivenza degli impianti dimostrano che, le adeguate valutazioni diagnostiche, la corretta esecuzione delle procedure cliniche e la collaborazione responsabile del paziente nella gestione igienica della sua bocca e nel sottoporsi ai controlli successivi al termine del trattamento, assicurano a questi dispositivi (gli impianti) una predicibilità di risultato veramente rassicurante in termini di durata, confort e funzionalità.

Gli impianti servono per rimpiazzare uno o più elementi dentali, senza dover ricorrere alla “limatura” dei denti adiacenti residui, evitandone, così, la mutilazione, altrimenti, indispensabile al fine di ottenere l’ancoraggio per una classica protesi a ponte.
Nel caso di ampie zone prive di denti nelle arcate e in mancanza di elementi dentali utili come pilastri, gli impianti servono, inoltre, come supporto indispensabile per costruire una protesi, che in questo caso potrà essere fissa anziché mobile.
Nel caso di mancanza totale dei denti, inoltre le protesi mobili, comunemente dette “dentiere”, attraverso pochi impianti possono essere stabilizzate, rese “più fisse” e quindi più efficienti e confortevoli.

Per mantenere una mucosa perimplantare (quindi la gengiva attorno all'impianto) in buona salute è fondamentale tenere sotto controllo la placca, come per i denti naturali. Quando un paziente decide di mettere un impianto è necessario che l’odontoiatra/igienista, in un colloquio preliminare, spieghi esattamente l’importanza del mantenimento igienico dell’impianto con precise indicazioni circa le procedure da seguire a casa per evitare infezioni che portino all’insuccesso dell’intervento. Ad ogni richiamo andrà valutata la mucosa perimplantare, la presenza o assenza di placca e tartaro, la presenza o assenza di infiammazione, la mobilità clinica dell’impianto.
Vengono usati gli stessi accorgimenti che si usano per l’igiene nei denti naturali, personalizzandoli a seconda del tipo di impianto inserito. Se interviene una mucosite (l'analogo della gengivite però attorno all'impianto) l’odontoiatra/igienista dovrà rimuovere la placca e/o il tartaro con strumenti appositi in fibra di carbonio, di acetato, in oro o in titanio che non intaccano la superficie dell’impianto.
Importanza fondamentale deve essere data ai richiami per i controlli, i quali saranno cadenzati in base all’efficienza del paziente nel mantenere l’igiene domiciliare.

Il Paziente deve essere in buone condizioni di salute generale ed orale.
In particolare, dovranno essere attentamente valutate eventuali malattie sistemiche, così come malattie delle gengive e dei tessuti di sostegno del dente (piorrea). Nel caso presenti, queste dovranno essere trattate, preliminarmente al trattamento implantare . E’ bene sottolineare che molte delle cause che portano a malattie del cavo orale e alla perdita dei denti possono portare anche ad un prematuro fallimento degli impianti.
Risulta necessario sottoporre il paziente agli accertamenti diagnostici del caso che comprendono, oltre all'esame clinico, gli esami radiografici quali: endorali, ortopantomografia (Rx Panoramica) e se occorre la T.A.C. (Tomografia Assiale Computerizzata). Attualmente esiste un esame radiografico tomografico computerizzato che si chiama Cone-Bean, in grado di offrire immagini esaustive dal punto di vista diagnostico esponendo il paziente ad una dose di radiazioni molto bassa.
Per ragioni di ancoraggio meccanico, è necessario disporre, nelle sedi anatomiche opportune, di una adeguata quantità e qualità di tessuto osseo, al fine di offrire all’impianto una tenuta funzionale, condizione necessaria per garantire un affidabile supporto alla corona protesica.

La durata della terapia implantare è strettamente legata alla quantità e alla qualità dell’osso presente.
Nei casi più favorevoli, è possibile riavere una funzione masticatoria su impianti anche in pochissimi giorni o anche nell'arco delle 24 ore, fissando subito le corone o i ponti sugli impianti.

In generale un paziente in buone condizioni di salute può sottoporsi alla terapia implantare, indipendentemente dall’età.
Occorre invece escludere la presenza di parodontite, fattore di rischio alla terapia implantare e che, se presente, va affrontata prima di procedere con l'inserimento di impianti.
Le altre controindicazioni assolute ad un trattamento implantare sono rare.

Il termine "rigetto" si riferisce piuttosto a trapianti d'organo.
L'insuccesso di un impianto è comunque raro; naturalmente l’impianto deve essere stato ben collaudato mediante studi clinici.

La terapia implantare può essere effettuata nel paziente ammalato di malattia parodontale solo dopo che la malattia è stata trattata correttamente.

L’intervento chirurgico necessario per inserire impianti nell’osso è quasi sempre ben tollerato.
Il dolore postoperatorio è di regola limitato a poche ore e si domina bene con i comuni analgesici.

L'impianto può continuare a funzionare per decenni, se viene mantenuto ben pulito con l'igiene quotidiana e con visite periodiche dal dentista.
La durata di un impianto può essere ridotta dalla cattiva igiene, dal fumo, da malattie come il diabete, da traumi o carichi eccessivi.

Gli impianti post-estrattivi rappresentano una procedura clinica che si pone come obiettivo quello di ridurre i tempi che intercorrono tra l’estrazione dell’elemento naturale da sostituire e il momento in cui il paziente riceve una ricostruzione protesica supportata da un impianto.
Possiamo distinguere e classificare gli impianti post-estrattivi in funzione del tempo che intercorre tra l’estrazione e il momento in cui viene inserito l’impianto.
Tipo 1-Impianti immediati: durante lo stesso atto chirurgico viene estratto il dente ed inserito l’impianto.
Tipo 2-Inserimento precoce a circa 4-8 settimane dall’estrazione. Dove si evidenzia la guarigione del tessuto molle del sito post-estrattivo senza una significativa maturazione del tessuto osseo.
Tipo 3-Inserimento precoce a circa 12-16 settimane dall’estrazione, con una significativa guarigione del tessuto osseo.
Tipo 4-Inserimento ritardato a circa 6 mesi dall’estrazione. In cui abbiamo la completa guarigione sia del tessuto molle che del tessuto duro.

Intarsio

L'intarsio è un restauro parziale del dente.
Viene definito restauro indiretto perché è realizzato “a tavolino” al di fuori della bocca del paziente e successivamente con una metodica di incollaggio adesiva viene “unito” al dente, come una sorta di tassello. Proprio perché si basa su tecnica adesiva, l'intarsio diventa un tutt'uno con il dente, rimanendo adeso in maniera molto più tenace rispetto ad una corona cementata in maniera tradizionale.
Nella moderna odontoiatria gli intarsi sono realizzati utilizzando materiali che riproducono il colore bianco del dente come i materiali ceramici o le resine composite (quindi completamente senza metallo).

Quando la dimensione della superficie dentale da ricostruire è tanto ampia da rendere difficoltosa o non sufficiente l'esecuzione di un'otturazione convenzionale, l'intarsio permette un'ottimale ricostruzione anatomica del dente, ripristinandone forma, resistenza ed estetica.

Laser

Ad oggi si parla molto dell'utilizzo del laser per la cura della parodontite (o piorrea) al punto che che molti pazienti ricorrono a tali metodiche in centri medici che pubblicizzano fortemente il loro utilizzo. In maniera però completamente disinteressata ci preme informare correttamente il Paziente riguardo il laser nella cura del cavo orale, dato che si tratta di una tecnologia assai costosa che richiede anche un certo impegno economico da parte del paziente stesso.
Quando si parla di “laser” si intendono diversi tipi di fasci di luce, con diverse sorgenti, caratteristiche ed indicazioni terapeutiche. In odontoiatria non esistono reali vantaggi scientificamente provati circa l'utilizzo del laser per la cura della parodontite, rispetto a metodiche che prevedano l'utilizzo di gel o soluzioni antibatteriche usate localmente. Sia il laser che i principi antibatterici in forma di gel/liquidi si pongono come obbiettivo quello di decontaminare l'eventuale tasca senza però eliminarla in alcun modo. Gli studi circa il confronto laser-soluzioni antibatteriche, che peraltro sono per lo più con bassa evidenza scientifica e con scarso follow-up oltre ad essere per lo più sponsorizzati da aziende produttrici di laser, hanno dato pareri discordanti non riuscendo tuttavia a dimostrare che l'igiene professionale dal dentista accompagnata dal trattamento con laser dia risultati migliori rispetto alla stessa igiene professionale accompagnata da utilizzo di collutori antibatterici (oppure gel antibatterici). Inoltre il laser se non preceduto dal trattamento con curette ed ultrasuoni da parte del dentista si è rivelato essere completamente inefficace. Quindi il laser potrebbe al massimo sostituire l'utilizzo del collutorio (in studio e/o a casa) o delle sostanze antibatteriche usate localmente dal dentista (gel o simili), e non assolutamente la strumentazione manuale e/o meccanica delle superfici dentali. Ancor meno il laser può sostituirsi ad un'eventuale terapia chirurgica o tantomeno regalare al paziente la soluzione definitiva del suo problema.
Considerando quindi i dati presenti in letteratura e i costi di un gel antibatterico in rapporto al costo di un trattamento laser si capisce bene perchè secondo la nostra opinione il laser nella cura non chirurgica della parodontite non trovi grandi indicazioni.
Ad oggi il laser in odontoiatria trova indicazione solo come strumento nella chirurgia dei tessuti duri del dente (ad esempio nella cura di una carie, al posto del “trapano”) oppure nella cura dei tessuti molli (ad esempio nell'asportazione di una lesione cancerosa, al posto del bisturi).

Malattie cardiache

Sì. Le malattie cardiache e la malattia parodontale hanno correlazioni dovute all’influenza che la malattia parodontale può esercitare sulle malattie cardiache.
La malattia parodontale è sostanzialmente un'infezione batterica, i batteri possono entrare nel circolo ematico ed agire come fattori aggravanti di alcune malattie cardiache, come le malattie coronariche o le endocarditi infettive. Infatti i batteri gengivali producono molecole infiammatorie che partecipano alla formazione di placche aterosclerotiche, a loro volta causa di ictus e infarti.

Menopausa

La menopausa rappresenta un periodo di squilibri ormonali che possono influenzare negativamente la salute parodontale.

Mobilità dentale

No. I denti mobili sono tra i più comuni sintomi di forme gravi di malattia parodontale. In caso di mobilità dei denti è consigliato recarsi dal proprio dentista per una valutazione delle possibili cause e della relativa terapia.

Paradontite o malattia paradontale (una volta detta anche piorrea)

Dal greco, “parodonto” significa letteralmente ciò che sta attorno al dente. Esso rappresenta il tessuto mediante il quale i denti sono ancorati alle ossa mascellari e comprende gengiva, legamento parodontale (legamento presente tra radice del dente e osso) il cemento e l'osso alveolare.
La parodontite è l'infiammazione del parodonto (cioè dell'insieme gengiva-legamento-cemento-osso) a seguito di un'infezione causata dai batteri presenti nel cavo orale. Essa può portare ad una serie di conseguenze come perdita di osso, retrazioni delle gengive, formazione di tasche sottogengivali, mobilità dentale, sensibilità dentinale, ascessi gengivali, fino alla perdita dei denti.

La malattia parodontale non è una malattia ereditaria.
La principale causa di malattia parodontale è l’accumulo di placca batterica sulle superfici dei denti.
Tuttavia recenti studi hanno evidenziato l’ereditarietà di alcuni fattori predisponenti che rendono più facile ammalarsi di malattia parodontale.
La presenza di frequente familiarità in anamnesi suggerisce la presenza di fattori ereditari come concause alla patologia, probabilmente legate alla capacità di difesa individuale e al tipo di risposta infiammatoria. Le forme a incidenza precoce e più aggressive sembrano le più indicate a presentare aspetti di questo tipo. Sono state ipotizzate anche forme di fenomeni di autoimmunità.

Entrando nel merito del trattamento della parodontite possiamo distinguere, a grandi linee, una terapia causale e una terapia correttiva. La terapia causale si rivolge alla cura delle cause che determinano l’insorgenza della malattia, la terapia correttiva ha come obiettivo la correzione dei difetti da essa provocati.
Date queste premesse, nell’ambito della terapia causale, possiamo e dobbiamo agire su diversi fronti: l’eliminazione del biofilm batterico dalle superfici dentali con trattamenti non chirurgici (levigatura delle radici, scaling) mediante strumenti manuali ed ultrasonici, e l’eliminazione di tutti quei fattori che possono essere considerati irritanti o che possano favorire l’accumulo di placca.
Un altro punto decisamente importante e purtroppo a tutt’oggi, spesso trascurato, sta nella diagnosi precoce, da parte degli operatori sanitari, di quelli che costituiscono i fattori di rischio per la comparsa e lo sviluppo della parodontite e di quelle che sono le lesioni che l’accompagnano e la caratterizzano.
In caso di sopravvenute lesioni parodontali e premessa una preliminare, attenta e scrupolosa terapia causale, la moderna parodontologia possiede molteplici opzioni correttive, che sono di tipo chirurgico (con solevamento di lembi gengivali). Importante sottolineare, nuovamente, che la terapia chirurgica, definita, appunto, terapia correttiva, cura i difetti provocati dalla malattia, ma non le cause che l’hanno provocata, né la malattia in sè.

La parodontite è causata dall’infezione dei microorganismi (placca batterica) che colonizzano la superficie del dente in prossimità dell'attacco gengivale.
La parodontite si sviluppa sempre da una preesistente gengivite, ma una gengivite non necessariamente degenera in una parodontite.
In sintesi si può affermare che se teniamo sotto controllo una gengivite, abbiamo ottenuto una buona prevenzione della parodontite!
La malattia si previene attraverso una corretta igiene quotidiana a casa ed una altrettanto corretta igiene professionale, (scaling, levigatura radicolare, ecc.), con richiami ravvicinati in cui si esegue sempre il sondaggio, la misurazione delle recessioni e la profondità di tasca. A seconda della gravità della parodontite e dei risultati che si ottengono con una terapia non chirurgica, l’odontoiatra può decidere di intervenire chimicamente e/o chirurgicamente.

Perimplantite

La perimplantite è un'infezione responsabile del riassorbimento dell’osso circostante all’impianto in maniera progressiva nel tempo. Le perimplantiti sono il corrispettivo delle parodontiti con la differenza che avvengono attorno ad una “radice artificiale” (l'impianto appunto). Queste possono essere distinte in perimplantiti precoci che si verificano subito dopo o a breve distanza di tempo dall’intervento chirurgico e perimplantiti tardive che si verificano a seguito della riabilitazione protesica. Le cause scatenanti sono varie ad esempio la contaminazione batterica del campo operatorio o della ferita durante la guarigione, una scorretta metodica chirurgica o ancora scorrette o inefficaci manovre di igiene orale che portano all’accumulo eccessivo di placca e tartaro e quindi infiammazione dei tessuti.

In un primo momento tramite il controllo dell’infiammazione e quindi la terapia non chirurgica con rimozione meccanica dell’agente causale ossia la placca e il tartaro, in un secondo momento andando a migliorare o normalizzare le condizioni anatomiche per permettere al paziente un efficace controllo di placca nel tempo. Il clinico può avvalersi di una serie di interventi terapeutici quali rimozione meccanica di placca e tartaro con strumenti adeguati, antibioticoterapia topica o sistemica, disinfezione con agenti antimicrobici come la clorexidina e l’acqua ossigenata, trattamenti chirurgici atti a migliorare l’anatomia perimplantare.

La perimplantite è un’infezione che colpisce il tessuto osseo dove è stato inserito un impianto. Le perimplantiti possono differire dalla parodontite sia per la struttura e la composizione delle cellule coinvolte nella lesione sia per l’intensità dell’aggressione della malattia. Mentre nelle lesioni parodontali avviene uno processo autolimitante proveniente dallo sviluppo di una capsula protettiva, questo stesso processo sembra non esserci per le perimplantiti.

Placca

La placca batterica o “biofilm” in modo semplicistico, si può definire come “insieme di organismi, che colonizzano una superficie, immersi in una matrice di polimeri”.
La maggior parte dei batteri non sopravvive se presi singolarmente, ma come biofilm. Una volta inglobati nel biofilm, i batteri, si organizzano per distribuire le varie attività metaboliche tra i differenti membri del biofilm stesso e diventano molto più resistenti e pericolosi.

Sbiancamento

Lo sbiancamento è un procedimento clinico appositamente studiato per migliorare il colore dei denti. Questo procedimento è effettuato mediante l’utilizzo di un gel a base di perossido d’idrogeno, che si attiva o chimicamente o esponendolo a particolari fonti luminose portando alla liberazione di ossigeno. Questo gas penetra nella struttura del dente, innescando reazioni di ossido-riduzione che scompongono le molecole delle macchie in composti più piccoli, incolori e facilmente eliminabili.
L'intensità dello sbiancamento dipende dalla concentrazione del principio attivo e dal suo tempo di posa sui denti.
Il trattamento permette di ottenere un sorriso gradevole e migliorare notevolmente l’estetica del proprio sorriso, rivelandosi allo stesso tempo una procedura sicura ed assolutamente tranquilla se gestita correttamente. Si può eseguire con diverse tecniche sia in studio che a domicilio (mediante mascherine), sia su denti vitali che non vitali. Lo sbiancamento non è nocivo per il dente.
I denti rimangono bianchi per diversi anni dopo l'applicazione del gel sbiancante. Tuttavia i forti fumatori, i consumatori di caffè, thè, ecc. potrebbero aver bisogno di piccole applicazioni di uno o due giorni per rinforzare l’effetto sbiancante.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 22 del 26 gennaio 2013 del Decreto del Ministero della Salute del 5 novembre 2012, l’Italia ha recepito la Direttiva Europea 2011/84/UE sui prodotti cosmetici in materia di sbiancamento dentale. La norma, che modifica la Direttiva 76/768/CEE sui prodotti cosmetici al fine di adeguarla alle recenti acquisizione tecnico-scientifiche, stabilisce delle nuove regole per l’utilizzo dei prodotti contenenti perossido di idrogeno. In sintesi, l’obiettivo della Direttiva è quello di garantire la sicurezza per la salute del paziente, andando a bloccare i trattamenti sbiancanti fai da te.

Tartaro

Il tartaro, chiamato anche calcolo, è formato dall’insieme dei depositi minerali che si annidano intorno al dente. Nello specifico, il tartaro è composto per il 70-80% da sali minerali, di cui il 40% circa è calcio, il 20% fosforo ed il resto è dato da sodio, manganese, carbonato e fluoruro. Il tartaro si forma sia sopra-gengiva che sotto-gengiva (quest'ultimo quello più dannoso). La placca, se non rimossa adeguatamente, si calcifica producendo depositi di tartaro con il precipitare dei sali calcarei ed i fosfati contenuti nella saliva. La composizione chimica ed il ph (ovvero il grado di acidità o basicità) della saliva sono i principali fattori alla base della formazione del tartaro dentale in quanto ne possono condizionare la quantità, la velocità di formazione e la sua composizione.

L'ablazione del tartaro (altrimenti detta scaling o detartrasi) è la rimozione del tartaro da tutte le superfici dentali mediante strumenti manuali ed ultrasonici.

La placca batterica, se non rimossa dalle superfici dentali, si calcifica per precipitazione di sali di calcio e fosfati presenti nella saliva.

Tasca parodontale

La tasca parodontale è uno spazio tra dente e gengiva creatosi in seguito alla distruzione dei tessuti che circondano il dente (gengiva e osso).
Il dentista, attraverso l’uso di una sonda parodontale, è in grado di evidenziarne la presenza e la profondità.
Per saperne di più:

Traumi

Importante sarà determinare il danno subìto dalla polpa dentale, con prove di vitalità nell’immediato e a distanza di tempo dall’incidente. Spesso infatti le conseguenze del trauma possono essere indirette a distanza di tempo a carico della polpa dentale (il “nervo” all'interno del dente). Se questa va in degenerazione il dente perde la sensibilità al freddo e nel tempo diventa di colore più scuro, aprendo il campo a una sequela patologica che porta a infezione, dolore, ascessi e gonfiore facciale e infine alla perdita del dente.
La terapia quindi in caso di necrosi della polpa dentale è la devitalizzazione, che ha lo scopo di mantenere senza sintomi il dente traumatizzato con un intervento minimo e minimamente invasivo rispetto alle alternative.
Dove possibile, e specialmente se chi ha ricevuto il trauma è ancora in crescita, si cercherà di mantenere la polpa vitale con ogni mezzo. Non dimentichiamo infatti che la funzione della polpa è quella di far crescere in lunghezza e spessori la radice, crescita che si protrae anche nei primi anni dopo l’eruzione dei denti.

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